DATA FOR GOOD

La trasformazione digitale sta avvenendo secondo un asse stato/regione/città da un lato e big tech dall’altro. Questa dinamica sta de facto tagliando fuori la società civile che subisce le scelte con pochissima capacità di controllo.
Torino possiede storicamente una cultura sociale e un’eccellenza tecnologico/digitale che può consentirci di proporre un modello diverso.

Come scrive Shoshana Zuboff, oggi il cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” ci offre un nuovo modello nel quale rinunciamo alla nostra libertà in cambio di una conoscenza perfetta che però qualcun altro amministra per il proprio profitto sfruttando in particolare le informazioni (dati) che ciascuno di noi lascia in rete.

Per portare avanti una visione e un modello alternativi oggi si parla molto di Data For Good, ovvero una scienza dei dati messa al servizio di organizzazioni che operano per cambiare il mondo e renderlo un posto migliore.

A Torino, dove da sempre si sperimentano esperienze legate ai beni comuni, possiamo lavorare per creare nuovi beni pubblici legati ai dati. Questo significa potenziare e razionalizzare la strategia di dati aperti di Torino (implementando buone iniziative come il progetto aperTO), far leva su entità come Torino City Lab, per poi andare oltre.
La Città dovrebbe ambire ad avere un laboratorio in cui i dati aperti, ma anche i dati privati di pubblico interesse, siano materializzati e usati da tutti gli stakeholder del territorio, dalla ricerca, da attori a missione sociale, per meglio calibrare le proprie politiche e misurare il proprio impatto. Questo non significa rendere pubblici dati commerciali o privati, ma negoziare un perimetro di collaborazione attorno ai dati, un “urban data collaborative” che fornisca al pubblico più controllo e chieda ai contractor privati più reciprocità di quanta ce ne sia oggi: una strategia “sovrana” di governance dei dati della città.

Torino può essere la prima città in cui creare un “parlamento dei dati”, un meccanismo di rappresentanza nel discorso sui dati, un tavolo di discussione che consenta ai cittadini di aver voce su chi raccoglie quali dati, a quale scopo, a quali attori vengono affidati dati pubblici, quali decisioni algoritmiche impattano la vita dei cittadini e a quali fini vengono usate.

Un meccanismo migliore di rappresentanza consentirebbe di creare “resistenza” sana rispetto all’uso indiscriminato e poco responsabile di alcune tecnologie legate ai dati, a cominciare dall’uso di tecnologie di riconoscimento facciale per la sorveglianza a cui dobbiamo opporci duramente e in ogni modo.

Infine, abbracciamo il “data governance act” della Commissione Europea, e “l’altruismo dei dati” là immaginato, in un esperimento urbano, dove si sperimentano modelli di governance dei dati che rispettino di più la dignità umana.

I dati sono potere, chi misura ha potere su chi viene misurato, per questo dobbiamo dare voce e coinvolgere attivamente la cittadinanza che è spesso vittima del “capitalismo della sorveglianza”.

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